Roscoe Kumm –
Roscoe Kumm – I Dakota – Gli Eroi – Homepaintings
Di Lele Cerri ricordo i “marmi scoppiati”, le sue “lapidi”, come allora le chiamava lui, tavole di marmo trompe-l’oeil eseguite con acrilici, sintetici, smalti su legno, cartepeste, resine, materiali di ogni tipo. Lastre sviluppate in un gioco di marmorizzazioni, esplosioni e torsioni anomale in cui si cercava una tensione nella distanza non convenzionale tra la forma e la materia; erano nove prototipi, cinque dei quali Cerri ha in seguito distrutto in blocco salvandone, non ho mai saputo per quale motivo, solamente quattro: il primo realizzato nel 1975, acquisito da un collezionista italiano, e altri tre che non ha mai ceduto.
Negli ultimi anni, Cerri ha proposto le sue nuove serie “Dakota”, progettati per la fusione in alluminio, e “Gli Eroi” realizzate in fusione in alluminio, in ferro e gesso, ferro e porcellana, gesso e nitro, resine cromate.
I primi “Dakota”, e i “ Dakota Flies” sono nati agli inizi degli Anni 70 da bozzetti scenografici per “Amleto”e per il “Galileo” di Brecht. Concepiti come “refusi industriali”, sono la soluzione dell’idea di una nevrosi barocca di concavi e di convessi immaginati come effetto spontaneo della ribellione di una fusione.
“Gli Eroi” , altra serie, non portano niente di eroico, anzi, sono un gioco a ridurre, detrarre, complici i loro titoli che, spiegabilmente con l’ultradecennale lavoro di Cerri come autore di testi, sono prosecuzione e completamento dell’opera, sono sua parte integrante.
Già nel dittico “La Partenza degli Eroi” sono fantocci minimi, contenutamente addobbati e ridicoli, per i quali, come per tutta la serie, l’aggettivo grottesco sarebbe già ridondante. “La battaglia degli Eroi” è lo stereotipo tronfio della necessità ciclicamente irrinunciabile di una tragedia come la guerra. Soltanto nel “Ritorno degli eroi” e ne “L’attesa delle vedove degli eroi di mare” arriva l’eroismo patetico della miseria penosa delle conseguenze, della sconfitta, della disfatta, negli stracci di sagome appese a se stesse o come affidate al vento. La serie si conclude col “Piazzale dell’eroe”, schemino statico, legione pro-memoria , fine di un ciclo compiuto, nella cui celebrazione vanitosa è nascosta la minaccia del suo possibile ripetersi e con “La fuga dei galli” punto esclamativo a chiusura di un periodo ironico e sarcastico.
Con gli Homepaintings, Cerri ha adesso trovato il modo di concretizzare il risultato di quel gesto ampio, immediato e netto che da sempre avrebbe voluto compiere sortendo l’effetto raggiunto da queste elaboratissime improvvisazioni che sono le sue grandi tele.
Nelle quali, anche qua complici indivisibili, e forse irrinunciabili, titoli come Mamie’sloabsterlipstick, si ricongiunge con un’educazione sentimentale formatasi in un’adolescenza fiorita nel giardino della Pop Art.
Roscoe Kumm
(Palazzo Mediceo Seravezza 2002)
Marcello Ciccuto
Lele Cerri Gli Eroi – Homepaintings
Palazzo Mediceo Seravezza 2002
Eternamente alle soglie di un traguardo di compiutezza per fortuna sempre rinviato, vediamo Lele Cerri vivere così nel profondo e autenticamente le proprie sensazioni da scoprirlo nell’atto di esporne in ogni occasione, regolarmente, la libera, luminosa meccanica interna. Lo vediamo attraversare col sogno della creatività il suo tempo del vivere, e così registrare ogni cosa, tutto filtrare o trasformare e persino svisare, incantarsi, provare un’attenzione mai casuale per ognuno di quei fenomeni tra i quali non può impedirsi di trovare una costante d’espressione, il lusso gioioso e leggiadro della imposizione di una forma. La sua è appunto una grazia e insieme una gioia delicata, quasi prudente del mostrare, in un paese tanto fortunato dal punto di vista artistico da poter considerare l’epiteto triste a livello di ingiuria… E dunque gli esiti del creare di Lele, netti ma fragili, categorialmente indefinibili perché usciti dal sonno inesausto e pronti a rientrarvi senza farsi contaminare dal quotidiano, ricchi dei loro scintillanti e liberi riflessi, sorgono e si impongono alla visione come il cenno di una breve frase musicale udita in lontananza – tanto concentrata di senso pero’ da dirci senza mezzi termini la forza del loro esserci, qui e ora: luoghi di sosta positiva e contenta di sé, diremmo, fra due baratri usuali (ma, appunto, bellamente ignorati) quali l’inutilità del futuro e l’annullamento doloroso, incessante del passato. Solo queste forme sono, a dirigere con eleganza l’osservatore alla coscienza della necessità di avere a che fare con un artista e con l’accadere di alcuni fenomeni.
Niente più. Con gli dèi che sotto sotto sorridono, perchè questa così lieve indicazione di breve (ma quanto intenso!) percorso fu anche il loro progetto di partenza. Poi distrutto dagli uomini, e conservato invece da Lele nell’incantata sobrietà di qualche segno scultoreo, tanto generoso di invenzione da non pretendere sedimenti critici che non siano quelli di un gusto alla conoscenza tutto socratico, amichevole, disimpegnato eppure di insondabile ampiezza.
Marcello Ciccuto
(Università degli Studi di Pisa)