Ed eccoci, alla fermata attuale del viaggio compiuto in millenni tra irrinunciabili, indispensabili sciamani, sacerdoti, pizie e fattucchiere, allora ed ora assimilatori accumulatori, insieme a piccoli e grandi segreti altrui, di piccoli e ingenti capitali, di fondi serviti, che servono e serviranno a finanziare giuste ed inique cause, in una realtà al soldo di una ragione economica a cui e in cui si è inevitabilmente convertita, e può non essere un azzardo dire rivelandosi nella sua fondamentale natura, la ragione dell’umanità. Ed eccoci al nostro punto sul segmento valutabile più o meno lungo di un’attendibile storia tracciata, dopo millenni di intermediari dei molti Dio, unificati, in ogni epoca, ad occorrenza, nel dio Denaro. Eccoci, inclusi ed esclusi, alle indulgenze, pur rinascimentali e scintilla della riforma dopo le relativamente recenti immani filosofie medievali, dopo la cercata e con forza voluta interiorizzazione e spiritualizzazione del peccato, dopo la conversione della confessione da collettiva in individuale, la valutazione del peccato (considerata da Le Goff ne “La borsa e la vita”) modellata sui parametri personalizzati che possono giustificare l’errore del penitente: situazione familiare, sociale, professionale, circostanze e motivazione del peccato. Il confessore deve raccogliere l’ammissione di colpa, il pentimento del peccatore: deve mondarlo, più che punirlo. E’ l’aggiornamento dell’intermediarietà sacerdotale, un’acquisizione dati in modalità auricolare, adesso, da bocca a orecchio, nella pratica della confessione che nel 1512 il IV Concilio Lateranense stabilisce obbligatoria almeno una volta all’anno, a Pasqua. Non oracoli, non pizie: confessori, più che meno in funzione orientata, intermediari acquisitori di dati fusi piombati in archivi la cui non divulgazione è garantita protetta dal segreto della confessione; bureau, service. Intermediari della necessità dei quali siamo sempre stati per natura misteriosamente convinti e, sapientemente, apertamente o subliminalmente stati convinti. Intermediari che sempre, nella storia dell’uomo, in ogni epoca, funzione e collocazione, sulla base di un rapporto verticale con un punto di riferimento di cui ha bisogno l’essere umano per fuggire la paura, identificare il bene, sono stati e si sono offerti ed imposti, portatori di autorevolezza o di ieraticità, come sovente di ghigno; intermediarietà ferina o spudorata astrale, che poi in una grande epoca di ricerca profonda, determinata e convulsa della luce si fa fiamma gotica, esattamente allusiva, intermediarietà che, pur destinata ad attraversare epoche che partoriscono utopia e riforma e ad oltrepassarle, si pone e mantiene minacciosa, grifagna come gargolle cheratoconiche indagatrici, le gole contratte nello sprofondo delle loro bocche spalancate, sulle punte delle loro lingue biforcute, nelle loro simbolicità. Salvezza offerta e cercata che si deforma nel suo significato attraccando secondo necessità a sempre nuovi approdi, fino ai moli dove adesso si arriva già crocefissi, le braccia spalancate, pronti per la scansione, bersagli centrati offerti a un occhio che vogliamo essere certi ci guardi, nudi, confessati, offerti, immolati a una qualsiasi incandescente pupilla ipnotica di un qualsiasi led, di un qualsiasi occhio-taccuino che sia ON, insuperabile nell’acquisire e riporre ordinatamente, aggiornatamente, schematicamente i suoi fogli in un archivio subdolo ma non tanto, commercialmente utile ma non poco, nell’eternità di un assoluto economico: causa universale alla quale viene sacrificato e si sacrifica l’individuo senza causa nell’annientamento della sua insacrificabilità. Pupille incandescenti gelidamente interessate in un gioco voyeristico di totale indifferenza per ogni centimetro che dell’individuo comunemente scannerizzato non caratterizzi il suo potenziale apporto al consumo, a vantaggio e a carico di una società che dell’acquisizione dati ha fatto il proprio portierato e del quale è portiera in un linguaggio di scambio prostituente e intenso quanto una verità emersa in portineria. Non sappiamo più rinunciare ad affacciarci alla concierge, penzolare ridicoli alla finestrella della guardiola, così volentieri fottuti, ordinari immaledettiti, spaccati e spacciati dall’ambizione di incuriosire.