Salvini, come avviene agli aspiranti plenipoteristi (senza corrispondere le reali capacità tecniche di risolvere i problemi socio-economici) è ormai talmente divorato dal rogo della Vanità che pur di affermarsi come primo ballerino farebbe anche il coreografo che non è in grado di fare. Non ci sarebbe da stupirsi se anche dichiarasse guerra all’Abissinia, al Tavoliere delle Puglie, a un formichiere dello zoo di Lipsia, agli avi dei Mau Mau e a un discendente a caso di un ramo a caso dei Borbone. Nella maniera più speculativa e meno nobile, guadagnandosi la solita pole position nel rivelare grandi verità a tutti drammaticamente già note e parzialmente già pagate e seriamente considerate e poste come realtà da affrontare, parla adesso, come sempre, non tuffandosi e riemergendo nel porsi un problema e nuotando in una sua soluzione degna della evoluzione umana ma anche questa volta galleggiando sulla superficie dell’effetto di una parola: stavolta è fame… una parola che la gente capisce bene anche se in lui è solo retorica, moralismo diffamatorio di ogni potenziale dignità dei cittadini, che specula su una terribile seria minaccia. Una condizione incombente, molto probabilmente, se non sicuramente, inevitabilmente capillare e futura, che invece per molti si è anche giâ precocemente avviata sulla la via della scontentezza sul propulsore del non avere il caciocavallo, la grigliata in piazzetta, quella salsiccetta che piace tanto al pupo; che probabilmente diventerà presto un Salvini Ci Salverà mentre per marito, zio, cugino o ganzo si profilerà il rischio cassa integrazione o licenziamento, tanto per minimizzare (conosco giovani carpentieri, promossi di categoria a luglio, per i quali il rischio si è già profilato). E intanto non si è capaci di chiarire a coloro che capiscono solo il linguaggio della retrività, in termini popolarmente esplicativi come quelli cui lui ricorre con l’ovvietà non banale dell’astuzia, quanto Salvini non sappia fare altro se non stare all’opposizione come tutte le opposizioni non sacre e mai sante anche quando sarebbero state nelle condizioni di poter governare. Salvini cavalca l’esaltazione senza avere competenze tecniche per affrontare i problemi che sbandiera in un mulinello, specialmente adesso, di incitamenti da guerra civile. Esattamente come l’esercito dei capaci non di pensieri ma di slogan e retoriche d’artificio: un esercito che di continuo si sparpaglia e si ricostituisce nell’addensarsi o diradarsi delle zone più facilmente navigabili sulle macchie d’olio del pericolo. E lui e i simili che rappresenta, si esaltano delle vibrazioni che dà loro la paura adrenalinica delle responsabilità: paura che sotto sotto hanno e li fa vibrare emozionandoli fino a portarli a fremere e tremarne davvero, come un giocatore smandruppato di roulette trema per il rosso e il nero. E quando quella loro paura raggiunge temperature da fusione, la trasformano nelle paure più retrive con le quali fanno leva e accoliti, e al governo ci vogliono andare per ciò che ormai realmente li divora e ci divorerà: la loro sacra fiamma della vanità. Come successe con l’Impero e meraviglie a seguire.